Io sono il protagonista di questa storia ed è giusto che mi incontriate subito.
Leggete, vero? Forse per caso, forse per noia. Forse in una sala d’attesa, mentre attendete di soffrire dal dentista, o in un ufficio, con l’ansia seduta accanto, perché aspettate il turno dell’ennesimo colloquio di lavoro. Magari vi ho sorpresi sulla tavola di un cesso, con queste righe che scorrono tra espressioni sofferenti, mentre riempite le fogne del vostro scarto.
E qui mi ritrovate, perché per voi io sono uno scarto sociale.
Il problema è che questo è il “vostro” problema. Perché voi, in questa storia, siete prede.
Le mie prede.
Sorpresi?
Già, vi circondate di altri come voi, credete di essere informati su come va il mondo. Bravi. Ma del vostro corpo, di quello che vi succede dentro, conoscete il nulla.
Siete ignoranti allo stadio più blasfemo, perché nemmeno vi ponete il problema dell’ignoranza.
Vi solletica sapere quante vittime ha fatto il terremoto in Asia? Vi stimola meglio di una defecazione sbirciare i resti di un incidente stradale?
E dell’incidente che siete voi, cosa pensate? Niente.
Avete una coscienza di voi stessi, ma è appena macroscopica. Vi vedete nella vostra unità di corpo, ma di quanto vi succede dentro, zero. Zero assoluto. Per questo io sono il protagonista.
E voi le vittime.
Le vostre cellule sono una girandola confusa di trasformazioni, di mitosi, di apoptosi, mentre io sono evoluzione.
Evoluzione nel silenzio delle vostre cellule che si affannano a moltiplicarsi, a trasformarsi, a morire, dirette da un infante del niente: il DNA.
Non sapete quanti movimenti cellulari gli sfuggono ogni giorno. Così solo nelle anarchiche orde cellulari, senza pause, il poveretto. Nasce e muore affannato, il vostro DNA.
E non è infallibile.
Continuate pure a vivere, scorze ignoranti delle vostre cellule. A me basta un refolo di starnuto, una ferita da niente per aprirmi la porta.
Poi mi muovo veloce, predatore del vostro intimo.
Io sono il virus.
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