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"Ragazzo con piccolo fratello morto"; anonimo; New york; 1872 circa

La foto post-mortem si sviluppa pienamente in epoca di positivismo e razionalismo, in cui, tuttavia, la scienza non riesce a soddisfare le ataviche pulsioni irrazionali, a sostituirsi del tutto alla superstizione. E al bisogno dell'uomo, forte più di ogni considerazione logica, di vincere la paura da un lato della morte, dall'altro dei defunti.
La fotografia diventa allora strumento utile per attenuare non solo il dolore da lutto, ma per avere la parte astrale (il doppio metafisico) dell'uomo; ovvero quello spirito intermedio, che non è già anima, ma che possiede ancorale caratteristiche fisiche dell'individuo defunto. La fotografia post-morte,in sintesi, non è solo immagine, ma è la spiritualità del defunto posseduta.
E' il connubio tra tecnologia e superstizione.

Come si può dire ad una madre che ha perso il suo bambino: "E' solo un corpo". Come le si può ripetere, riferendosi all'immagine che stringe tra le mani: "E' solo una fotografia". Non sto parlando di sentimentalismo, ma ad una reale incapacità dei protagonisti, in questo caso la madre, di rispondere ad un lutto attraverso strategie di pensiero razionali, insensibili cioè alle esigenze affettive che per esistere non possono che creare fantasmi da amare, proteggere, custodire.

Ho appena appreso la notizia di una donna che ha voluto fotografare il proprio neonato, spirato a poche ore. Questa parte di lui e del sé la porterà ovunque.

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