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Storie da Città di Solitudine e dal Km 76. Dove la morte è poesia.

Si tratta della mia ultima opera in fase di pubblicazione. Un romanzo formato da racconti a intreccio.


Questa la schematica presentazione:


"In una notte sospesa dei nostri tempi, il custode del cimitero di Fine Viaggio termina il suo percorso terreno adagiato tra le dimore dei defunti del paese.

Ha una storia che riguarda ognuno di loro, una storia che ha appreso osservando giorno dopo giorno le foto sulle lapidi.
Follie, tragedie, amori intensi e malati.
I racconti si sviluppano a intreccio durante la lucida agonia del custode. Fino all’epilogo, con l’ultima storia, un segreto di morte che riguarda proprio il custode.






        Dove la morte è poesia




Ho già dato l'anteprima di alcuni brani, qui inserisco un'ultima. Se, per sbaglio e persino, a qualcuno interessa, al momento si trova su:
http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=496213



Cimitero della Lontananza



A volte le sere di Fine Viaggio sono così alte nel cielo che a scrutarle non bastano nemmeno gli occhiali spessi della libraia.


Lei ha occhi consumati di parole nelle penombre solitarie della libreria e quando chiude il portone, sempre ultima, non alza più lo sguardo al cielo.


Con passi dispersi tra la nebbia, torna a casa, la borsa che racchiude gesta di epoche romantiche, la mente che freme di desideri di lettura.


Da anni nessuno la aspetta, nessuno le parla, tanto che forse il suo nome è rimasto tra gli scaffali polverosi della libreria.


E a lei sta bene così.


Immersa nelle pagine di volumi assopiti, riempie i silenzi del declino della sua vita.


Ma questa sera è diversa dalle altre.


Intanto, i suoi occhi sfiorano le nubi grigie che sussurrano promesse di pioggia. E i suoi passi sono echi sparsi tra la nebbia che non scivolano alla casa, ma su, oltre il paese, verso la collina di Cimitero di Solitudine.


Infine, motivo più importante che trascina gli altri, questa sera nella sua borsa non ci sono epopee di Omero o di Ariosto. Ma piume, becco e artigli.


Immobili di morte.


***


Nel 1806 l’editto napoleonico di Saint-Cloud dispone che i cimiteri siano posti al di fuori dei centri abitati. Quando la legge giunge a Fine Viaggio, Cimitero di Solitudine è già una realtà secolare sulla collina. Paradossalmente, tra i suoi abitanti l’idea della morte è ancora un fenomeno naturale da vivere in comune, tra lunghe file di salme che si susseguono nel tempo, accompagnate dalla collettività.


Mentre negli altri luoghi la morte è relegata in un ghetto di timori e di silenzi, a Fine Viaggio le mura della nebbia chiudono ancora gli abitanti in un sentire corale di vita e trapasso.


Cimitero di Solitudine è leggenda che sovrasta la nebbia, è sentore dei padri fondatori, le cui ceneri vestono il paese oltre i secoli.


E la sua collina ha ancora angoli remoti da conquistare.


Per questo, dopo l’editto, a qualcuno viene l’idea di seppellire in gloria comune anche gli animali domestici.


Immediatamente, nella sua lunga mano temporale, lo Stato Pontificio tenta di opporsi al seppellimento di questi corpi senza anima, ma le insistenze di Fine Viaggio vengono inaspettatamente sottolineate dai rappresentanti di Prussia, che in questa folle idea scorgono una beffa all’editto napoleonico. Nel 1824 si giunge al compromesso: le salme degli animali sono seppellite in un recesso della collina, privo di recinzione, lontano dalla terra benedetta, lontano dai corpi umani.


Nasce così Cimitero della Lontananza, che, nel corso degli anni, lascia alla terra resti e ricordi di cani, gatti, pesci, istrici, pappagalli, persino di una scimmia.


Fino a quando, agli inizi del XX secolo, il Cavaliere Giuseppe Lontano, forse spinto dalla morte dei suoi cani da caccia, forse dalla singolarità tra il nome del cimitero e il suo cognome, acquista il terreno e ne dispone la recinzione.


Intanto, anche a Fine Viaggio la morte è diventata una tragedia individuale e, a Cimitero della Lontananza, gli animali sono seppelliti nel silenzio di ogni solitario dolore.


***


La libraia ascolta l’umidità della sera riempire di dolore le articolazioni e ne osserva la caduta con colori malati di muffa nelle parole incise sulle lapidi.


“Hai ancora tutto il mio tempo”, promette il marmo mentre cela i resti di un gatto.


“Salta ancora con me”, echeggia al suo fianco l’incisione per un rospo.


Sogni e promesse che giacciono nel Cimitero della Lontananza, tra mura solcate di edera come rughe verdi in un tempo sospeso.


Gli occhi della donna cercano, anche se sanno già dove trovare. Il suo respiro è lieve dispersione di malinconia al cielo. E si allunga in un sorriso dolente quando giunge alle sue lapidi.


- Ciao Giotto – mormora in un lento inginocchiarsi alla terra.


L’erba secca intorno si spezza sotto il suo peso con un lamento rapito dalla nebbia.


La donna alza per un istante gli occhi sfuocati verso la sommità della collina, come ad accertarsi che a Cimitero di Solitudine il custode non abbia avvertito la sua presenza. Un timore inutile, perché la riservatezza del guardiano è più salda delle recinzioni dei due cimiteri. Si sa che vive per Cimitero di Solitudine, tra i segreti degli uomini, e che non gli interessa camminare tra i lutti degli animali.


Ma questa sera la libraia vuole essere sicura che nessuno sappia di lei.


Con le ginocchia morse dalla terra, attende che il silenzio diventi suono senza pause, poi si sporge verso la tomba di Giotto e la osserva, intensa oltre la miopia dello sguardo, mentre le mani si serrano sul manico della borsa reclinata all’erba.


- Sono con te – annuncia.


Poi stride le ginocchia sul suolo e si avvicina alla lapide a fianco.


- E con te – aggiunge in un soffio di dolore.


Lì, dopo il cane Giotto, nell’ultima tomba ai confini di Cimitero della Lontananza ci sono i resti mortali di Libero. Sono stati abbandonati a ridosso della recinzione e proprio sopra di loro si intuisce l’ingresso del cimitero degli uomini, quasi a volere sottolineare la singolarità di questa sepoltura.


La libraia socchiude piano la borsa.


- Da questa notte avrai un altro amico – le mani sfiorano piume fredde – Penso che in fondo anche Giotto sia contento – le dita si schiudono sulla rigidità degli artigli – Non credi? -


La domanda sfuma nei battiti della morte.


Libero, unico uomo seppellito nel cimitero degli animali, la accoglie in silenzio.


Intanto, la sera scivola nella notte a riempire i ricordi della donna in una cascata di grigi e neri.


***


Fine Viaggio è colorata e suona di giocosità come mai è accaduto in tutta la sua storia. Persino la nebbia sembra intimorita dal suo respiro festoso e ne lambisce appena i confini. L’attesa dei bambini è intensa, tramandata nei secoli di padre in figlio attraverso i teatri di strada, i palcoscenici ambulanti dei vicoli, fino a coinvolgere anche i desideri inconfessabili degli adulti.


Il circo è arrivato in paese già da tre giorni, ma la gente fa’ ancora la fila per il biglietto, in un vociare di vita tra i ricordi degli uomini e le domande dei bambini.


Giungono da ogni dove, sui sentieri e sulla polvere, chi a piedi, chi in bicicletta, alcuni persino in auto, perché il circo e le sue fantastiche atmosfere gonfiano i desideri di curiosità. È l’occasione per sfidare senza rischi orsi, leoni, tigri, per volare senza cadute con i trapezisti, per ridere leggeri sulle goffe malinconie dei clown.


E il Circo Pretino è il più grande che si sia mai visto da queste parti.


Anche Don Livio, il parroco del paese, è incuriosito dall’avvenimento, per quanto non nasconda i suoi timori per il degrado che accompagna inevitabilmente ogni ambiente di spettacolo.


- Mi piacerebbe proprio sapere perché lo avete chiamato così – brontola mentre allunga l’obolo per partecipare all’avvenimento della serata.


La donna alla cassa gronda lardo e fard sotto una parrucca rossa come il peccato e lo scruta attraverso due fessure divertite. In un gesto veloce nonostante la mole, provvede a fagocitare i soldi e ad allungare un biglietto verde. Come l’invidia.


- Non sarà mica uno sberleffo verso i preti – insiste duro Don Livio. Alle sue spalle, celato dalla folla, qualcuno ride.


- Ma no – sbuffa il donnone sopra il vociare del pubblico – Il Circo Petrino è un omaggio a Giancarlo Petrini. Il fondatore del circo moderno – aggiunge con un sospiro di ovvietà sullo sguardo ottuso del prete.


Don Livio tira le labbra da un lato, per svelare tutta la sua disapprovazione.


- Moderno è il peccato con un nome diverso -


Con presa salda, si impossessa del biglietto ed esce lesto dalla fila, testa e spalle fiere verso il cielo, trascurando la prominenza del ventre e la flaccidità del sedere che lo spingono al suolo.


La donna alla cassa scuote adipe e parrucca, poi, scura in volto, tende rotoli di dita su altro denaro.


***


La prima sera la libraia è seduta accanto al prete, che le illustra il messaggio apocalittico della fine del mondo sulla corruzione dei costumi.


Ballerine in ombrelli trasparenti di gonne svolazzanti, giocano sulle punte dei piedi in sincronia con il passo allegro di un violino.


Don Livio è un censore senza sosta che si sporge oltre la fila per assaporare ogni acrobazia sensuale e peccaminosa di quei corpi lucidi di sudore e di riflettori.


La libraia approfitta della sua disattenzione per guadagnare ancora qualche centimetro di distanza sulla panca, verso il vociare stridulo dei bambini del sindaco. Dei due mali, tra la nenia del prete e le loro grida, sceglie quest’ultimo. Del resto, ha già dissolto l’attenzione dai leggeri disegni d’aria delle ballerine, così come l’ha disgustata lo spettacolo d’apertura del ruggire impotente del leone, così come l’hanno assopita i tristi surrealismi dei clown.


Si toglie gli occhiali, poi li rimette, quasi a credere che la visione cambi, ma non le ballerine sono ancora in evoluzione, il prete è ancora in scandalizzata contemplazione e tutto Fine Viaggio è desiderio assorbito dal circo.


Rimpiange di non avere dato ascolto al suo, di desiderio, di non essere rimasta tra i libri, a cavalcare con il sorriso amaro tra i mulini di Don Quijote, a navigare tra le tempeste di sventura e passione di Odisseo. Vede appena le espressioni sublimi di fascino dei bambini al suo fianco e si chiede perché mai è arrivata fin qui, in un tendone dove si vendono illusioni.


Un fremito improvviso soffia nel suo corpo. Nella domanda ha appena sentito la risposta.


Legge pagine su pagine di illusioni romantiche per riempire una vita vuota. E nel circo ha intuito la scoperta di sogni amplificati in uno spettacolo di coralità.


Il pensiero sta ancora scendendo perplesso nella sua mente, quando lo spettacolo cambia.


E cambia anche la sua vita.


***


Il mondo sotto il telone è attesa sospesa di sguardi e respiri.


La musica, il vociare, le risate, gli applausi, tutto è assorbito negli occhi spalancati.


La fune è un bisbiglio fragile che unisce le estremità del circo, in un lento ondeggiare verso il pubblico. Le sue spire avvolgono tenaci due pali, come nel disperato bisogno di un appiglio per non precipitare al suolo.


Negli angoli degli occhiali, la libraia scorge Don Livio annullato di parole nella bocca spalancata, i bambini del sindaco in un abbraccio di conforto sulle sue spalle.


In alto, ad oltre venti metri di altezza, la sagoma dell’uomo si sporge da un palo ed inizia ad avanzare, passo dopo passo, le braccia spalancate in un’uniformità di colore nero che lo rende simile ad una “T”. O a un Cristo, si stupisce a pensare la libraia, lo sguardo che guizza ancora sul prete per tornare immediatamente sull’acrobata.


I piedi flessi sulla tensione della corda, il trapezista si muove come privo di consistenza, un passo, un’attesa del brontolio della corda, e poi un altro passo.


Il pubblico ne segue le lente movenze consapevole della mancanza del telone sotto il suo corpo, in un rapimento di tensione, stupore, incredulità.


Perché non c’è solo la sfida precaria al vuoto.


Su un braccio disteso alla ricerca dell’equilibrio, ricoperto da quella che sembra una doccia di cuoio, c’è un uccello, immobile nonostante le oscillazioni della corda e dell’uomo.


- Che cos’è? – domanda uno dei bambini.


- Zitto – lo ammonisce in un brusco sussurro il sindaco, forse temendo che lo spostamento d’aria provocato dalla domanda possa infrangere il precario equilibrio di quella insolita coppia.


La libraia non riesce a staccare occhi e occhiali dal loro lento avanzare. La leggera eleganza dell’uomo, la tenace immobilità del rapace. Sì, lei ha compreso che si tratta di falco: nonostante la miopia e la distanza, ne riconosce il becco adunco, il capo grande, il corpo robusto. Non per niente è la lettrice più avida e assidua di Fine Viaggio.


Si chiede se non è il caso di rispondere al bambino, a bassa voce, ovvio, perché la coreografia sembra davvero troppo fragile, quando il trapezista, ormai giunto a metà percorso, si ferma, privandola di ogni scelta.


La corda si agita, indecisa se liberarsi di quei due intrusi, la gente inspira all’unisono, indecisa se guardare o urlare.


Il trapezista sembra tranquillo, il falco rimane scolpito nell’aria.


E quando la corda si assesta nel nuovo equilibrio, l’uomo si volta di scatto verso il compagno.


- Eh, pellegrino! – esplodono le sue parole e subito le ali del rapace si stendono in tutta la loro carica di predatore.


Il falco prende il volo, ancora più alto del trapezista, fino a sfiorare la sommità del telone, poi inizia a scendere verso il pubblico in cerchi sempre più piccoli.


- Aiuto – urla qualcuno tra lo stupore.


– Mamma – implorano voci di adulto.


- Misericordia divina – recita a mezza voce Don Livio.


Il trapezista ricomincia solitario la lenta conquista verso l’altro palo, ma ora tutta l’attenzione è sulle evoluzioni del suo compagno. A pochi metri dalla corda, nel centro del circo, il falco spezza gli ampi cerchi esplorativi e diventa picchiata verso il suolo.


Anche se non punta contro loro, gli spettatori indietreggiano istintivamente con la schiena, alcuni si urtano, altri urlano.


Il falco scava l’aria, il becco fisso alla terra battuta, gli artigli protesi in avanti, con tutta l’intenzione di perforare la crosta terrestre e passare dall’altra parte del mondo. E a pochi centimetri dal suolo il suo corpo scatta di nuovo in alto, veloce, in un risucchio che trascina con se il respiro di ogni spettatore.


Un secondo dopo è di nuovo sul braccio proteso del trapezista, sulla pedana dell’altro palo.


Immobilità. Silenzio.


Nel secondo successivo, il circo è scosso da un applauso così fragoroso e lungo da riempire la sera di Fine Viaggio come solo la nebbia sa fare.


***


La libraia ha rifiutato l’offerta di Don Livio di essere accompagnata a casa ed ora, mentre le giunge il vociare della gente che abbandona il circo, ascolta i suoi passi aggirarsi confusi e curiosi tra la zona dedicata agli animali.


Tutti i versi che si attendeva dal telone che copre le gabbie, il ruggito, il barrire, lo squittire, sono solo un ricordo assorbito dalla nebbia. Nemmeno qui le è dato scoprire lo stridio acuto del falco, unico motivo per cui si sta attardando tra la solitudine del circo a luci spente.


Si ferma, rendendosi conto solo adesso che si è spinta troppo in là, sola, in un luogo buio e pieno di animali predatori, per quanto rinchiusi.


Stupida, si rimprovera, tutto per sentire il verso di un uccello che hai letto nei poemi romantici. Questa è la realtà


Lo sguardo sfiora timoroso le ombre delle gabbie e cade nel grigio disteso tra le sue gambe.


E la realtà è nebbia


Aggiunge per darsi la spinta a tornare indietro.


Finalmente si volta verso la strada.


E urla.


***


L’animale è uno scricciolo di ossa, coda e pelo arruffato che le salta intorno con sorprendente energia. Al posto delle zampe sembra avere molle scattanti, al posto degli occhi due perle nere di gioia.


Alla libraia basta un secondo sguardo per riprendersi dalla spavento e, per quanto prigioniera dei suoi balzi in cerchi festosi, la tensione si scioglie nella spontaneità di un sorriso.


- Ciao. E tu da dove spunti? -


wof, le spiega il cane in un ansimare rapito alla frenesia dei salti.


- Ma vuoi tenermi qui? – continua la libraia in un tono che deve piacere al cane, perché i suoi balzi diventano più alti, fino quasi a raggiungere le spalle della donna.


- Ma come fai? – lo segue lei con un’iniziale senso di sbandamento – Guarda che se non ti fermi, mi fai venire le vertigini e tu stramazzi –


wof wof, la rassicura il cane con i suoi occhi grandi.


- Basta, basta – protesta la libraia senza riuscire ad arrabbiarsi davvero – Mi fai girare la testa -


- Giotto, qui! – una voce lacera la notte, la nebbia e la danza.


Improvvisamente calmo, il cane trottella verso la figura che ha parlato.


La libraia socchiude gli occhi nel tentativo di scrutare il buoi, con un nuovo senso di angoscia che soffia nel petto.


- Tranquilla, signora – la voce avanza e diventa uomo – Giotto è un giocherellone – un altro passo e la libraia intuisce una sagoma familiare in quella persona vestita di nero - Non farebbe del male nemmeno al mio falco, il che è tutto dire, visto che lui lo becca ogni volta che può -


L’uomo ora è a pochi passi da lei, l’espressione stanca, ma cordiale.


- Il trapezista – mormora incredula la libraia, ancora rapita dalla spettacolo a cui ha assistito.


Lui annuisce e allarga il sorriso.


- Il suo numero, insomma, guardi, non ho parole -


- Nemmeno io, se è per questo. Lo faccio senza ragionarci sopra, altrimenti mi metterei in malattia –


- Cosa? – esita lei, colta di sorpresa, e l’istante dopo ride, appena, una mano davanti alla bocca.


- Mi scusi – si affretta ad aggiungere, la bocca ancora celata dalla mano.


L’uomo la osserva con un’espressione esageratamente corrucciata.


- E di cosa? Non si trattenga, anzi – la voce diventa un sussurro – Si comporti facendo onore al mio nome -


- Risolo? – scherza lei sentendosi subito fuori luogo.


Ma l’uomo la sorprende in una risata più ampia e forte della sua.


- No, signora. Mi chiamo Libero -


- Oh – soffia la libraia senza aggiungere altro.


Lui rimane un istante in silenzio, forse in attesa del suo nome, poi si guarda intorno e con una mano indica l’ombra di una gabbia.


- Cosa fa’ da queste parti? -


Lei abbassa gli occhi, si sente arrossire e ringrazia la notte.


- Io – esita ancora, prima di guardare di nuovo il volto di Libero e stupirsi per la prima volta della sua bellezza – Le sembrerà ridicolo ma cercavo proprio il suo falco. Ho letto tanto di lui e mi sarebbe solo piaciuto sentirne il verso – si affretta ad aggiungere per tranquillizzare il suo interlocutore.


Libero oltrepassa con gli occhi le gabbie, la nebbia e ogni presenza.


- Pellegrino è sempre silenzioso - mormora. Poi lo sguardo ritrova quello della donna – L’ho chiamato così non solo perché è un falco pellegrino, sa, ma perché penso abbia lo stesso istinto vagabondo che è racchiuso nel mio nome -


wof, irrompe Giotto, immobile ai suoi piedi.


- Certo – aggiunge Libero appoggiando una mano sul suo capo – E’ anche il tuo istinto -


Giotto ringrazia con un ampio scodinzolare di coda, poi torna ad abbassare lo sguardo tra le zampe.


La libraia lo guarda con un sussurro di tenerezza.


- Ha gli occhi tristi, ora -


- Giotto è triste – le fa’ eco Libero – Tutti gli animali qui sono tristi, anche Pellegrino –


Con uno slancio di cui è la prima a stupirsi, lei gli getta addosso uno sguardo duro.


- Parla di vagabondi e libertà. Con che diritto se accetta che questi animali vivano in gabbia? -


Libero non sembra sbilanciato dall’attacco.


La guarda con un silenzio celato di malinconie che confonde la donna e la spinge a chinare il capo.


- Mi scusi – mormora.


L’uomo non risponde. Muove un passo, un altro.


La donna non indietreggia. Nemmeno quando sente il suo alito sul collo.


- Se vuole scoprire cosa c’è dietro la sua indignazione, se accetta di fidarsi – spiega piano lui – Lì c’è il mio carrozzone. Le offro da bere e le racconto un sogno -


La libraia ha uno scatto. Si allontana con lo sguardo dall’uomo e ancora si lascia sorprende dalla bellezza e da quel velo di malinconia mentre ne esplora il viso.


È uno sconosciuto, solitario incontro in un luogo di ombre e nebbia, e le sta proponendo di entrare nel suo territorio.


La donna esita, sa che è nelle condizioni di emergenza per non accettare, anzi, per allontanarsi da lì in fretta, ma c’è un imprevisto che la trattiene.


Libero è l’uomo dei desideri del circo.


Libero conosce il falco, l’animale dei suoi poemi.


Infine, Libero ha il fascino della tristezza disegnata sul volto di un bell’uomo.


- D’accordo – dice in fretta, per non darsi il tempo di rendersi conto di quanto sta accadendo.


L’uomo annuisce, le porge un braccio e insieme si incamminano verso le dimore su ruote dei vagabondi del circo.


Solo Giotto si attarda un istante, il naso che freme e interroga odori.


Ha appena avvertito una presenza alle loro spalle, ma ora, nel buio, non scorge movimenti.


E poi, è troppo incuriosito dalla nuova figura che si muove a fianco del suo capo-branco, per cui dimentica subito la ricerca ed inizia a trottare festoso incontro alla coppia.


***


La musica è come il vagito del mare che cresce, avanza e si spezza nel fragore della sabbia.


La donna chiude gli occhi e si lascia andare alle note in sottofondo, mentre le mani dell’uomo ne conoscono la pelle del collo, le labbra ne assaporano il gusto dei seni e il corpo si inarca di desiderio nell’incontro con i fremiti tra le sue gambe.


Libero ha l’odore del vento quando sale dalla collina e spazza via la nebbia di Fine Viaggio, ha il sapore delle pagine quando innalzano le gesta dell’uomo a lirismo.


In un gemito che sovrasta la musica stringe le gambe intorno a lui e lo ascolta penetrarla.


La musica si alza in un crescendo di sensualità di archi e strumenti a fiato, scandita dal rullare ritmato delle percussioni, potente, intenso, come i movimenti dell’uomo dentro lei.


Sente l’eccitazione crescere con le note e la mente liberarsi su questi accordi che in un lieve mormorio hanno accompagnato anche le prime parole di Libero, poco prima, entrati nel suo carrozzone.


***


- Vengo da molto lontano, mia bella signora - l’aveva sfiorata con la voce, seduto sul ricordo di un divano, mentre le offriva senza cerimonie una bottiglia di birra fresca – Mio padre era un famoso addestratore di falconidi, falchi pellegrini brookei, in particolare, gli abili cacciatori che tutti conoscono -


Lei aveva taciuto, gli occhi curiosi nei suoi, la bottiglia di birra abbandonata tra le mani,


Giotto sembrava trovarla comoda, perché la aveva scelta come guanciale per il suo riposo ed ora accompagnava musica e parole con un ronfare immenso per la sua esile figura.


- Li ho sempre ammirati, i falchi. Tutta la loro struttura è un progetto di efficienza. Sono imbattibili nel cielo – Libero aveva alzato lo sguardo, oltre la barriera del soffitto – Hanno una velocità media di ottanta, cento chilometri orari. Ma quando colpiscono -


Si era interrotto perso in qualche spazio nell’aria, poi era sceso sulla donna con occhi che bruciavano.


Lei aveva sospirato, senza nemmeno sapere di farlo.


Lui con un gesto rapido era scivolato al suo fianco.


Giotto aveva annotato il cambiamento con un pigro aprire di palpebra ed era tornato nel suo mondo.


- Quello che lei cerca non è il verso del falco, non il suo richiamo stridulo. Pellegrino pesa seicento grammi e quando scende in picchiata raggiunge la velocità di trecento chilometri l’ora -


- Tremendo – si era lasciata sfuggire la donna, che conosceva il falco solo nei disegni sul braccio dei cavalieri.


- Quello che lei deve sentire del falco, mia cara signora, è il fischio che nasce dalle ali mentre si tuffa sulla preda. Un fendente nell’aria –


Poi, lieve, si era chinato su di lei, e le loro labbra si erano conosciute.


***


Pellegrino saltella goffo da un ramo al suolo. Giotto lo osserva distante, dietro le gambe di Libero.


Il falco si ferma, il capo grande reclinato come in ascolto delle nuove presenze, gli occhi che sembrano fissare il cane, senza timore, anzi, con sfida.


- Ecco, così non sembra nemmeno lui, vero? – chiede Libero, una mano in quella della libraia, l’altra appoggiata alla recinzione.


- Non capisco ancora perché – risponde lei, assorbita dall’impotenza del rapace – Come puoi permettere che Pellegrino rimanga in questo stato – conclude infine con una nota di fastidio che scende fino alla mano e la libera dalla presa di lui.


L’uomo sembra non averla ascoltata.


Non cerca di nuovo il contatto fisico, la fronte appoggiata alla gabbia, gli occhi che si muovono tra le illusioni dei rami morti al suo interno.


E quando parla, è come se si rivolgesse al falco.


- La mia ammirazione per loro era così grande che da bambino sognavo di volare. Scoperto che non potevo farlo, sono diventato un trapezista che sfida il cielo –annuisce in gesti lenti che provengono da pensieri stanchi - In fondo, la vita stessa è un continuo equilibrio –


Si volta verso la libraia e ancora una volta lei si sente immergere dalla sua malinconica bellezza senza scampo.


- Quando mio padre è morto, ho lasciato tutti i falchi alla Guardia Forestale. Ma Pellegrino no. Era troppo piccolo, allora, ed io cercavo un compagno. Ce ne siamo andati in giro, saltimbanchi sperduti tra paesi, fino a quando il proprietario del Circo Petrino non ci ha notato – lo sguardo cerca ancora quello del falco, immobile nel capo reclinato, gli artigli che affondano nel terreno - Il circo permette al pubblico di sognare, di essere fuori dalle regole senza rischi, ma per noi non è così. Per noi è gabbia. Solo gabbia che annulla il mio nome e il suo –


wof, ricorda paziente Giotto.


Libero annuisce di nuovo.


- Si, Giotto, anche per te è una prigione – aggiunge mentre lo accarezza tra le orecchie e riceve in cambio mugolii di soddisfazione – Giotto è un’altra attrazione. Balla, salta, anche attraverso il fuoco – la mano si ferma – Anche lui è la vostra illusione -


- Ho sempre pensato al circo come ad un luogo distante. Magico e crudele allo stesso tempo – ammette lei, le parole che scivolano tra la recinzione della gabbia e raggiungono Pellegrino; il rapace tende ancora di più il capo verso quel suono nuovo e fa sbattere le ali in una sequenza di rapido allarme.


Giotto si avvinghia di pelo ed ossa tra le gambe di Libero, ma il falco sembra di nuovo indifferente.


- Ho resistito solo perché non sapevo fare altro e avevo bisogno di cibo e tetto, per me e per loro. Ma abbiamo pagato un prezzo troppo alto -


- Anche il tuo spettacolo ha un prezzo alto – gli fa notare lei, in un’allusione di cattivi presentimenti.


- Alludi al fatto che potrei cadere? - Libero sorride, senza gioia - Se così fosse non voglio sepoltura tra gli uomini, ma tra gli animali. L’ho scritto nel mio testamento. Mi sento più vicino a loro, credimi. Se c’è un’anima, non è nelle nostre gabbie, ma nelle loro passioni –


La donna apre la bocca, mormora silenzi. La sua mano cerca ancora quella dell’uomo.


Lui la sfiora, delicato, poi la avvolge in una carezza.


- Pellegrino ormai è adulto e sa badare a se stesso. Questa notte sarà libero, come me e Giotto. Era l’ultima serata del circo a Fine Viaggio, sarà anche l’ultima che ci vedrà prigionieri -


Lei stringe la sua mano in un sussulto stupito.


- E dove andrete? -


Senza alcun preavviso o apparente motivo, Giotto diventa uno scatto che lacera l’immobilità rassegnata dalla presenza del falco e corre verso la porta di accesso alle gabbie. Qui, comincia ad abbaiare, forte, veloce.


- Cosa succede? – chiede la libraia.


Libero lascia la sua mano e si avvicina alla porta. Giotto continua ad abbaiare, poi, all’improvviso come ha cominciato, tace, lo sguardo che cerca la gratificazione del capo-branco.


L’uomo apre cauto l’uscio, si affaccia nella notte, poi torna alla donna.


- Deve avere sentito qualche rumore – spiega con tono distratto – Ma fuori è tutto a posto – aggiunge avvicinandosi.


Lei lo sfiora con un bacio. Libero la guarda, come se nella donna vedesse ogni ultimo desiderio. Poi, indifferenti al terreno battuto, all’odore di escrementi, alla presenza di un Giotto perplesso, si possiedono ancora una volta, di vita e di addii.


***


Piccoli passi, frenetici, ritmici, li sente ovunque battere sul soffitto della libreria. È la pioggia che avanza in una mattina di lunga malinconia.


Seduta nell’immobilità del suo mondo di libri, la libraia si accorge che oggi il suo poema preferito non è tra gli scaffali, ma in un uomo che sfida il volo e le catene ed è già verso strade ignote, in compagnia di un falco e di un cane.


Lo sguardo cerca un istinto di cielo e riesce a scorgerlo nonostante le mura incrostate di libri e polvere, nonostante le nuvole appesantite di nera pioggia, nonostante cupi pensieri che l’hanno accompagnata fino ad ora, anche dopo che Libero l’ha accompagnata a casa, anche dopo che ha aperto la libreria prima del solito, svegliata da un insolito vociare sotto la sua finestra e lungo i vicoli lambiti di pioggia. Solo in uno scorcio spezzato della mente, nel breve e silenzioso percorso dalla casa alla libreria, si è chiesta cosa abbiano mai da dirsi gli abitanti di Fine Viaggio così presto. Ed ora la domanda torna, con un vago senso di allarme, perché attraverso la vetrata scorge ombre muoversi con insolita vitalità.


Forse stanno solo elogiando il circo e la sua magia, si risponde per ricominciare a respirare.


Gli occhi cadono sul libro aperto e distratto sulle gambe.


“È il granello di sabbia che confonde l’occhio della mente”, dice Orazio nell’Amleto e forse anche alla libraia. Lei annuisce.


Quando con gli occhi torna verso la vetrata dell’ingresso, si sorprende di non essere stupita dalla figura nera che gocciala a pochi metri.


- Mi scusi, credo fosse distratta. Non mi ha sentito entrare -


Lei nemmeno si alza. Chiude il libro in uno sbuffo ovattato e appende i suoi occhi nella fronte dell’uomo.


- Cosa leggeva? – aggiunge lui, apparentemente non turbato da quell’accoglienza. E intanto si avvicina alla donna.


- Le serve qualche libro, Don Livio? – taglia l’aria lei.


Questa volta il prete sembra esitare, si ferma, accenna ad un altro passo, poi si ferma di nuovo.


- Non si è accorta dell’agitazione del paese? – chiede con un mormorio di compassione che allarma la libraia.


- Questa notte qualcuno ha liberato il falco del circo –


Le mani della donna stringono Amleto in una richiesta di aiuto. Nessun fantasma la soccorre e lei attende, ancora, in silenzio, sforzandosi di mostrare indifferenza.


- Un disastro. Quel mostro si è avventato su galline e pecore. Ci sono stati molti danni tra gli allevatori di Fine Viaggio -


- Mi dispiace – risponde la donna con la massima formalità che riesce a trovare nella tempesta del suo animo.


Don Livio si avvicina di un altro passo. Nonostante il tono sommesso, ora nei suoi occhi è leggibile avido compiacimento.


- Il Circo Pretino dovrà pagare molti danni. E per farsi perdonare, ha promesso un’altra serata, oggi, l’ultima. Gratis per tutti -


- Capisco – le unghie affondano tra le pagine, nelle parole di morte di Ofelia.


Don Livio scuote la testa, un accenno di movimento soltanto, quasi indifferente, che proprio per questo allarma ancora di più la donna.


- Andremo tutti, me compreso – una pausa che è già gonfia di nero – E lei mi accompagnerà -


Amleto cade sconfitto al suolo. Il prete ne osserva la copertina rossa aperta come una macchia di sangue.


- E perché mai dovrei? – sfida la donna.


Don Livio si china, raccoglie il libro e, come dimentico della sua interlocutrice, sfoglia assorto qualche pagina. All’improvviso il volto si illumina di ispirazione.


- “La natura nel suo sviluppo non cresce soltanto in nervi e volume, e, mentre il suo tempio si innalza, si intensificano nel suo interno anche i riti della mente e dell’anima” – con uno scatto serra il libro.


La libraia sussulta a quel suono secco come di mandibole.


- Ecco, vede, dobbiamo ritrovare la spiritualità persa nella materia -


- Non credo che Laerte volesse dire questo – tenta la donna, ormai confusa.


Don Livio sembra capirlo, perché i suoi passi verso lei diventano decisi, fino a fermarsi al suo fianco.


- Lei verrà per assistere alla sconfitta della corruzione. Questa sera si esibirà anche il suo amante -


Le mani della libraia saltano alle labbra per soffocare ogni emozione.


Il prete annuisce, ne osserva lo stupore e l’angoscia degli occhi spalancati, e ancora annuisce.


- Vi ho sentiti, ieri. So tutto, mia cara -


La libraia libera la bocca, le parole che sgusciano tra i denti serrati.


- Lei è … lei è un … -


Don Livio le infrange con una mano protesa in avanti.


- Io devo vigilare sulle anime contro il decadere dei costumi. Il suo amico, con quel suo lavoro in cui osa sfidare la proibizione divina al volo, con quel suo credere che gli unici ad avere un’anima sono gli animali e non gli uomini creati ad immagine e somiglianza di Dio, è un blasfemo -


- Scommetto che ha raccontato tutto –


Don Livio sorride, sembra davvero di partecipe comprensione.


- No, figliola, è qui il punto – si china appena sul volto della donna.


Lei si ritrae trattenendo il respiro per non incontrare quello del prete.


- Per ora si crede che il falco si sia liberato accidentalmente, non per deliberata intenzione di qualcuno. Altrimenti i danni non li pagherebbe il circo, ma il suo caro trapezista -


La donna chiude gli occhi e libera il respiro in una lunga fuga di sconfitta.


- Ma se io non sarò allo spettacolo, lei racconterà tutto -


Don Livio si alza, appoggia Amleto e i suoi drammi sulla scrivania, e si allontana.


La porta cigola appena mentre si apre e lascia entrare lo sbuffare stanco della pioggia.


Il prete si ferma sull’uscio e si volta ancora una volta verso la donna, fagotto svuotato in penombra.


- Dimenticavo – aggiunge in tono distratto – Una delle prime vittime del falco è stato il cane del circo –


Lei sussulta in uno sguardo attonito


– No, non è morto. Ma non credo sia messo tanto bene – aggiunge il prete, prima di un accenno di inchino – A stasera, figliola – e con un tonfo di porta svanisce oltre la libreria.


La donna rimane immobile, il capo chino, come appesantita da tutta la pioggia che scende su Fine Viaggio.


***


Il circo è quasi vuoto.


I pochi abitanti che hanno accettato lo spettacolo riparatore siedono sulle panche con aria severa, distratti alle battute iniziali dei clown, dai loro occhi neri, dalle labbra bianche, dipinti sul viso come colate di pianto.


Ma lo spettacolo tenta ancora di vendere illusioni, anche quando il leone, stanco dagli esercizi della sera prima e dal secondo pasto abbondante, ruggisce poco convinto, con suoni che sembrano più domande che fiere minacce.


La libraia osserva le scene già viste con le mani che si cercano sul grembo e si stringono, forti, tenaci, in una richiesta d’aiuto che non giunge da nessuno. Sicuramente non dal prete seduto al suo fianco. L’unico che, pur attraverso la recinzione di uno sguardo crucciato, sembra apprezzare l’evento. E che si illumina quando in pista entra il direttore del circo.


- Signore, signori- è l’annuncio solenne – Come purtroppo ben sapete, il nostro falco è fuggito dopo i danni procurati non solo a voi, ma anche a noi – una breve pausa in attesa delle reazioni del pubblico, che sono silenzio e occhi duri – Pertanto, il prossimo numero avrà una necessaria variazione. Il trapezista si esibirà senza il falco, ma –


Il direttore lascia la frase nell’aria e si sposta. Alle sue spalle sta entrando un cane con il dorso fasciato, zoppicante. La coda tra le zampe.


- Non lasciatevi impressionare dall’aspetto – si affretta ad annunciare l’uomo mentre il cane si porta al centro della pista e un inserviente sistema cerchi tutto intorno – Giotto rimane il nostro migliore acrobata anche dopo l’assalto del falco. E questa sera, qui per voi, si esibirà nel salto del cerchio mentre il trapezista percorrerà il suo viaggio nel cielo! -


- Non è possibile – geme la libraia.


Don Livio la sfiora con uno sguardo compiaciuto ed inizia ad applaudire. Dopo un istante di smarrimento, il resto del pubblico lo segue.


Il direttore dedica a tutti un largo sorriso e si ritira dietro le quinte.


Al centro della pista, Giotto esita, sposta lo sguardo tra quelle figure che lo sommergono di odori e suoni, zoppica verso il primo dei cerchi, annusa, sembra osservare stupito la scenografia.


E all’improvviso alza lo sguardo.


Il pubblico lo imita, come un unico branco.


Il trapezista è lì, oltre le intenzioni della gravità, i primi passi sulla corda che oscilla ancora provata dal numero della sera prima.


La libraia lo vede, nero e con le braccia aperte, come un falco in osservazione nel cielo.


Ti amo, gli dice con la mente, e non capisce se si riferisce a lui, a Pellegrino, a Giotto, a tutti e tre, o alla libertà infranta.


Intanto Giotto, forse stimolato dalla presenza del capo-branco, salta il primo cerchio e guaisce di dolore quando atterra al suolo.


Il pubblico si ferma, sospeso, incredulo, gli occhi confusi tra il cane e il trapezista che avanza, piano.


Giotto si avvicina faticosamente al secondo cerchio. Esita di nuovo, guarda in alto, vede Libero che si muove e allora decide. Torna indietro di poco, quindi si gira verso l’ostacolo, accenna ad una corsa e flette le zampe nel balzo.


Poi, tutto avviene con la violenza di un lampo.


Il dorso del cane urta il cerchio, che si spezza. Il bendaggio si scioglie in un getto di sangue e Giotto, senza suono, crolla al suolo.


- Giotto, no! – urla la libraia scattando in piedi. Non sa se anche gli altri spettatori si stanno rendendo conto di quanto accade, tutto il suo mondo è assorbito dal cane che muore in una pozza di sangue e polvere, fino a quando un altro urlo, potente, rabbioso, non la spinge a guardare in alto.


- Siamo liberi! –


La voce del trapezista diventa una picchiata assoluta che ghermisce ogni spettatore.


L’istante dopo, anche Libero cade, spezzandosi al suolo.


***


Le mani della libraia accarezzano la terra umida di nebbia e di notte.


Ha appena terminato la sepoltura, a fianco alla tomba di Giotto.


È stanca, non solo per la notte trascorsa tra le lapidi di Cimitero della Lontananza, ma anche perché ha pochi giorni di vita. È così avanzata ormai la sua malattia, che non le lascerà altre letture.


Si alza in un lungo dolore di ossa appassite e scruta ancora in alto, negli spazi del cielo.


Al risveglio degli abitanti di Fine Viaggio, andrà dal notaio Felina per redigere il nuovo testamento.


Disporrà di essere seppellita al cimitero degli animali, accanto a Giotto, accanto a Libero.


E, da questa notte, accanto a Pellegrino.


Prende con gli occhi un ultimo scorcio delle loro tombe, li posa negli angoli più caldi del petto, e si allontana.


Sa che la sua richiesta non è regolare.


Ma c’è già un precedente a cui appellarsi.


Aperto il testamento di Libero, si era scoperta la sua intenzione di giacere tra gli animali.


Che si faccia pure, aveva tuonato Don Livio, sosteneva che discendiamo da loro, si è suicidato per loro, se vuole essere uno di loro nella morte ne renderà conto a Dio!


E Libero era stato seppellito a Cimitero della Lontananza, nel segreto di una sera senza cerimonie.


Pertanto, la donna sa cosa scrivere nel suo testamento. E, se qualcuno dovesse davvero opporsi, sa come accelerare la morte.


Giunta all’uscita, alza un’ultima volta lo sguardo alla notte che svanisce in scie rosse d’alba e la scopre piena di libertà.


La sera dopo il funerale di Libero, era salita per la prima volta sulla collina. Seduta tra la sua lapide e quella di Giotto, aveva iniziato a leggere una fiaba dei Grimm. Le sue parole riempivano di silenziosa attenzione i resti degli animali, mentre narrava “La morte della gallinella”. Verso la fine, quando il galletto scavava una fossa per la gallinella e le dedicava un tumulo, era stata distratta da un rapido sfrecciare di ombra al suo fianco.


Aveva riconosciuto il fendere d’aria, prima ancora di distogliere lo sguardo dal libro.


Pellegrino era lì, sulla lapide di Libero, e la osservava, il capo reclinato, in immobile attesa.


Da allora e fino al giorno della morte, era diventato il suo silenzioso compagno.


Con uno sforzo sulla ruggine che graffia le giunture, la libraia chiude il cancello e si incammina sul sentiero che sale a Cimitero di Solitudine o scende a Fine Viaggio.


Sospeso tra questi due mondi, Cimitero della Lontananza rimane in attesa.
E dopo la sua morte, al Km. 76, che segna il punto in cui la statale lambisce Fine Viaggio, un nuovo tipo di culto dei defunti ha inizio".

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