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cantico d'inverno

E' la ballata ideale con cui augurarmi, e augurarvi, un'estate caliente. Non date a me la colpa, ma a Bau Sam.

Cantico d’inverno



Ci sono onde che schiumano di bianco nel cielo, onde piumate che non hanno interesse ad infrangersi sulla riva, anche se, a volte, si trovano sulla spiaggia.


Gabbiani.


Sono gabbiani, bianchi d’inverno.


Abitanti del mare, nella stagione in cui l’uomo non ne fa’ caotico argomento di conquista per ferie mordaci.


Loro conoscono la spiaggia per come è davvero, grande, libera


Non ristretta da corpi densi di apparenza e lozione solare.


Non penetrata da ombrelloni che portano artifici d’ombre e guadagno.


Anche Bau Sam conosce ogni stagione e vede dove si trova la vita.


Per questo ora è sdraiato sul filo delle onde che soffiano sulla riva, con la coda mollemente cullata dal mare, e aspetta che i gabbiani abbiano finito di radunarsi intorno a lui.


Sono così tanti, e così curiosi di ascoltarlo, che lo stanno attorniando dal primo sbadiglio del mattino e si sono ritrovati tutti, ma proprio tutti, solo quando la luna è diventata più decisa sopra il loro appuntamento.


Per tutto questo tempo, Bau Sam è rimasto immobile, in attesa. Intanto ha pensato a quali parole trovare per spiegare ai gabbiani d’inverno una storia di uomini, diversa dalla frenesia, dall’arroganza e dal rumore confuso che già conoscono durante l’estate.


Solo verso sera ha smesso di riflettere.


So raccontare l’uomo in modo spontaneo, senza vestirlo di maschere, si è detto semplicemente. Perché sono un cane.


Allora, circondato da una folla di onde piumate di bianco, ha iniziato.


***


Come già sapete, il mare parla.


Lo fa’ soprattutto in inverno, quando la sua voce antica non è sopraffatta dal caos turistico e la città, affannata di frenesia, è disposta a concedergli la parola.


Se sappiamo ascoltare, è facile udirlo raccontare ogni storia in un mormorio che placa le onde gonfie dell’animo.


Poi ci sono i momenti rari, dal sapore magico, in cui è disposto persino a sentire le vicende degli uomini, quando nelle sue acque cercano un rifugio momentaneo, evocante il cullare del naufragio nel grembo materno, o assoluto, donandogli gli ultimi respiri di una vita incolore, priva di speranza o dignità.


Tuttavia, in quel giorno di inizio inverno, la lunga vetrata che abbraccia il lato ovest della casa a ridosso della spiaggia, è un ostacolo impenetrabile tra l’uomo e il mare.


Distrattamente, l’uomo solitario osserva il lento planare dei gabbiani, intenti a scrutare oltre la danza delle piccole onde, ne cattura il tuffo improvviso nella spuma e la grazia con cui riprendono quota, cacciatori di mute prede.


Mute come gli sembra muto il mare, perché muti sono i suoi pensieri.


Pensa di fare scorrere la vetrata e lasciarsi rapire del pungente vento del mattino, ma cambia subito idea e con un sorriso senza allegria lascia cadere ogni tentativo di dialogo cercando rifugio nella passività del letto.


È solo un’altra giornata da trascorrere sulle macerie del vuoto.


Si lascia fluttuare nel letto e con la mente accende la pipa che ha fumato solo due volte. La prima quando ha terminato di costruire questa casa sul mare.


Perché poi tornare in questo luogo silenzioso, si domanda oziosamente, più vulnerabile vittima di ricordi?


Aspira una boccata di nulla dalla pipa.


Forse perché ogni tanto si sente il bisogno di trovarsi faccia a faccia con i ricordi, anche se l’illusione di tenerli lontani per sempre è più semplice.


Lo sguardo cade sul telefono, muto sul comodino, e subito si allontana a rifugiarsi nel vuoto.


Durante questi anni non si è mai scrollato di dosso la polvere della sua vita, come invece aveva sperato di fare.


Ha soffocato i ricordi, certo; è riuscito costruirsi una dignitosa posizione economica, è circondato da amici, alcuni di loro addirittura veri amici, ha vissuto relazioni spensierate, ha incontrato donne disposte a capirlo, anche se non hai mai capito come e a che proposito. Ma i suoi occhi guardano ancora al passato.


Quando credeva di essere vivo.


Tira un’altra boccata di illusioni di pipa.


Ricordi e rimpianti, un’alleanza che lo svuota ancora.


Quando sente il roco richiamo del citofono, pensa di non rispondere, di fingere di non essere in casa, che poi tanto finzione non è, perché se fuma una pipa inesistente vuol dire che anche lui non è reale.


Ma chi è dall’altra parte si mostra più caparbio del suo fluttuare nel delirio consolatorio, lo sommerge di urla di citofono, e lo spinge a scuotersi.


Si lascia portare dai piedi lungo il corridoio che lo separa dall’ingresso, circondato dai quadri acquistati in blocco ad un’asta fallimentare, in cui ogni pennellata tradisce la mano di un dilettante.


- Sì? – impasta la bocca di parole che gli sembrano estranee, mentre schiaccia il pulsante audio. Forse chi è dall’altra parte ha la stessa impressione, perché esita un istante prima di presentarsi. Lui non se ne cura, preme il tiro del cancello ed apre la porta con un girotondo di chiavi.


Poi ripercorre il corridoio e, mentre sente ritmo affrettato di passi sulle scale, entra in cucina.


Ha il tempo di aprire la credenza e di prendere un paio di bicchieri opachi, quando lo raggiunge una voce incerta che chiede permesso. Appoggia i bicchieri nel lavandino dove giacciono tracce geologiche di cibo e si affaccia sul corridoio.


La persona è ferma sull’uscio, esile contorno in penombra ritagliato sullo sfondo del sole.


- Vieni avanti – la esorta ricordando come si parla con tono cordiale.


Dall’altra parte, nessun movimento.


Nemmeno lui torna sui propri passi.


Così rimangono, ad osservare i reciproci contorni senza particolari, il silenzio interrotto dallo stridio esortante dei gabbiani.


Poi quella persona si avvicina, lentamente, e in un attimo l’uomo ha la breve intuizione di un sogno che ha già conosciuto.


La ragazza dimostra non più di venti anni e si avvicina, piano.


Capelli scuri che danno risalto alla pelle chiara, occhi vivaci.


Una bellezza semplice.


Rendendosi conto che la sta fissando, l’uomo distoglie lo sguardo e si affretta a recuperare i bicchieri ingoiati dal lavandino, quindi li innalza oltre le spalle, trofei del quotidiano.


- Ho solo birra. Altrimenti acqua. Non credo di poterti offrire un alcolico – aggiunge ironico, prima di sentirsi un imbecille.


La ragazza tace.


Lui sospira e lascia i bicchieri sul tavolo.


- Scusami – mormora, mentre si decide ad andarle incontro.


Lei, lo sguardo chino coperto dai capelli scesi sul viso, gioca nervosamente con le mani.


Quando si rende conto che l’uomo si sta avvicinando, fa’ un passo indietro e senza sollevare il viso esaurisce il fiato in una frase veloce


- Non dovevo disturbarla sono capitata in un brutto momento mi dispiace io -


- No – la interrompe pronto lui e, sfioratale una spalla con la mano, la esorta ad avanzare.


- Non sono mai stato un campione in cerimoniali di accoglienza, tranquilla, va tutto bene -


- Ah, beh, io, se è questo – prosegue lei inciampando in ogni parola.


A quel punto l’uomo ha un’intuizione che la fa’ sorridere e incrina il muro di disagio. Si esibisce in un goffo inchino, mano sinistra al petto e destra tesa ad indicare la cucina.


- Soave fanciulla – declama con tono intenso – voglia allietare la mia dimora con la sua gioia ed accomodarsi dove a volte, in sostentamento, si trovano persino cibo ed acqua, oltre che silenzi e parole –


Quindi con un paio di balzi incerti agguanta una sedia in legno e la gira verso la ragazza.


- Grazie – decide lei, sedendosi. E scoprendo del tutto il viso alla luce del sole.


L’uomo chiude gli occhi, il cuore che sussulta e tenta di correre, ad esortarlo a fuggire, lui che gli urla mentalmente di smetterla, e quando finalmente torna a lei, scopre che lo sta osservando di nuovo perplessa.


Allora le volta le spalle e, aperto il frigorifero, le chiede ancora se vuole birra o acqua, mentre sente il respiro diventare pesante.


Lei lo blocca con un “no, grazie”, senza ripensamenti, e a lui non resta che affrontarla diretto, subito.


Prende un’altra sedia e si siede accanto.


Sul volto della ragazza non scompare l’espressione di perplessità, mentre ricambia il suo sguardo e subito dopo lo osserva raccogliere in blocco fogli bianchi, sparsi sul tavolo, simili a lenzuola in un caotico dormitorio.


- Mi dispiace, nemmeno l’ordine è il mio forte – mormora ancora lui, ma questa volta con fare divertito – Però ho bisogno di ordine prima di iniziare un nuovo incarico, salvo tornare alla mia confusione non appena ho terminato questa frase -


Lei annuisce cortese, cercando di venirgli incontro, ma è chiaro che è sempre confusa.


L’uomo alza una mano.


- D’accordo – si arrende – dimmi qual è il tuo problema -


Lei esita, si guarda intorno, esplorando una cucina senza interesse, così poco frequentata da essere tormentata dal forte ticchettio di un orologio da parete.


- Una lettera, mi dicevi ieri al telefono – la esorta lui, iniziando a sentirsi di nuovo a disagio.


La ragazza si ferma sui suoi occhi, tenta di sorridere ed arrossisce.


- Siamo in alto mare? – tenta lui.


Lei annuisce.


Tic tac tic tac


marcia l’orologio, mentre l’uomo affonda nello schienale della sedia.


- Allora, bisogna che mi racconti qualcosa di lui e vediamo se riusciamo a venirci incontro -


- Sì – concorda finalmente la ragazza. Ed inizia a parlare.


***


Non c’è riposo per l’uomo quella notte.


Il mare soffia sulla sua casa e lui non ascolta.


È chino sul tavolo spoglio della cucina e scrive.


Ogni tanto si ferma, osserva la luce della candela che trema, perde peso e poi si slancia verso il soffitto, e ricomincia a scrivere. Poi si ferma ancora, ascolta la cadenza solitaria dell’orologio da parete, e ricomincia a scrivere. E mentre la lettera prende forma, avverte il rinnovarsi di un senso di solitudine, ma questa volta più profondo, quasi nuovo, a cui non sa dare un nome.


La notte passa, come la fanno passare gli uomini, con il mare che mormora, vicino e distante.


***


Il giorno dopo, quando il sole non ha ancora scaldato la spiaggia, l’uomo osserva i gabbiani planare dallo schermo protettivo della vetrata.


Gli occhi bruciano, le palpebre sono sipari che vorrebbero calare, ma lui è ancora in piedi e guarda.


Ha scritto a mano una lunga lettera per la ragazza, come lei gli ha chiesto, una lettera di parole leggere su pesanti emozioni. Una bella lettera.


Tra poco lei tornerà per prenderla, e per pagarlo, ma lui non si sente soddisfatto.


Da tempo ha messo la sua capacità di scrittore a disposizione di chi ha bisogno; su ordinazione e compenso, compone lettere dedicate ad amori mai nati, perduti, malati. Lontani.


È così abile che in breve periodo il passaparola ha portato fino a quella casa di mare decine e decine di persone alla ricerca di un altro sentiero per conquistare un’illusione.


Lui li fa’ accomodare in cucina, ascolta il caso e la notte, quando non riesce a dormire, trasforma il desiderio in parole scritte. Carica la sua penna di dolore e rabbia e malinconia e incomprensione e segna la carta di belle speranze. Non garantisce un risultato, ma chi dovrebbe essere il mittente si illumina quando legge ciò che ha scritto, anche se è una vittoria temporanea che grida amore nel vuoto.


E a lui, ogni volta, rimane il senso di un mondo fatto di nulla.


Di lacrime che tornano e baci che mordono.


Di parole che non hanno un corpo su cui adagiarsi.


Di desiderio che non conosce il linguaggio dei sensi.


Il mare, dall’altra parte della vetrata, spinge le onde a riva e torna indietro per prenderne nuove.


Lui gli volta le spalle per perdersi nel letto.


***


La ragazza lo attende, coperta dal vento che gioca con i capelli e con i riflessi dei suoi occhi.


Lui arranca verso lei, sbuffando, la lettera piegata in una mano.


È un po’ seccato, perché non avrebbe voluto rivederla in riva al mare, ma, come è sua abitudine, ancora al riparo della casa, ma lei lo ha chiamato all’ultimo momento insistendo per spostare l’incontro.


- Sono solo pochi metri – lo aveva tentato.


- Non ne comprendo il motivo – aveva ribattuto l’uomo, ancora colto di sorpresa.


- Non c’è motivo – click.


Superata l’ultima duna di sabbia che li divide, lui si ferma e la guarda.


È la ragazza dal viso conosciuto che lo ha stupito ieri, è vero, eppure non è proprio la stessa.


- Buongiorno – lo saluta lei con un sorriso aperto.


- Ciao – risponde lui, esitando. Sì, c’è qualcosa che ieri non c’era.


Il mare li sfiora con le onde, mormorando suoni che non gli interessano, i gabbiani protestano alti nel cielo per l’intrusione umana fuori stagione.


- Ho la lettera – aggiunge sbrigativo mostrandole i fogli.


Lei annuisce, ma non guarda la sua mano, gli occhi ancora fermi nei suoi.


Ecco cosa, pensa allora l’uomo, è la stessa ragazza, certo, ma non è quella indecisa e timida di ieri. Oggi sembra una donna.


Sente un peso allo stomaco, perché crede di conoscere quello sguardo nuovo, e desidera prepotentemente tornare in casa.


- Bene, allora, se vuoi leggerla un attimo prima di pagarmi – le parole cadono nel vuoto. Lei continua a fissarlo, in silenzio.


Fruscio di onde su urla di gabbiani.


Lui tenta un sorriso, ma ne viene fuori una smorfia storta.


- Senti, di solito faccio così, te l’ho spiegato. Dovevamo trovarci da me, come ieri. Leggi la lettera e mi dai i soldi con tanti in bocca al lupo per il rapporto che vuoi ritrovare -


- Tu hai scritto quella lettera – scolpisce la donna nell’aria.


L’uomo lascia andare una risata monca, che si unisce al verso dei gabbiani.


- Certo che l’ho scritta io! -


- E allora non importa che io la legga –


Pesante silenzio di parole, mormorio del mare.


- Non capisco, scusa -


La donna si avvicina a lui, fino a sfiorarne con una mano i capelli grigi.


- Dicono che somiglio a mia madre quando sono seria -


L’uomo arretra di un passo, due, ma la mano di lei continua a lambirgli i capelli.


- Ti ho chiesto di scrivere una lettera per un padre che non ho conosciuto, che non ha mai voluto vedermi – gli occhi della donna sono umidi di acqua e vento.


Lui scuote la testa, si accorge che la mano con cui regge la lettera trema e istintivamente stringe ancora di più la presa.


- Anche se lo hai fatto per un compenso, in tutta questa notte hai scritto del dolore di una figlia abbandonata dal padre. E forse ora lo intuisci – lei estrae una mano dal giubbotto e lascia cadere banconote verso la sabbia. Il vento se ne impossessa subito e le consegna al mare – Puoi tenere la lettera, so che è molto bella. I nonni mi hanno raccontato della tua abilità di scrittore, papà -


Quindi si volta e con passi lenti abbandona la spiaggia, lasciando l’uomo inginocchiato sulla sabbia, immerso nelle ragioni della sua lunga solitudine.


***


- Da quel giorno, l’uomo va in spiaggia tutte le mattine, si siede sulla sabbia, scrive. Scrive lunghe lettere alla figlia e poi le lascia al mare -


Come un unico corpo bianco, i gabbiani ondeggiano su una zampa e sull’altra, stupiti. Poi si voltano con occhi neri verso la solitaria figura umana seduta in uno scorcio lontano di spiaggia e infine si alzano in volo, lungo mete differenti.


Bau Sam scuote la coda nel mare, si alza a quattro zampe e si muove verso l’interno della spiaggia.


Sa che la seconda ed ultima volta in cui l’uomo ha fumato la pipa è stata quando l’unica donna che ha amato è morta, mentre partoriva una bambina che proprio per questo ha rifiutato, ritenendola responsabile.


Bau Sam lo sa, perché lo ha sentito dal mare.

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