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la tappezzeria - respiri (I)



La suola è usurata dalla frenesia dell’uomo. Da ore il piede striscia sul pavimento della stanza, stordito,

avanti e indietro, stop, indietro, stop, avanti e indietro, avanti …

L’uomo è un tormento che tenta di ricordare se è vivo.

Lo specchio dell’armadio non gli lascia messaggi chiari, lì dentro ci sono solo i riflessi di un letto a baldacchino e di pareti incrostate, brandelli di una tappezzeria su cui spiccano ritratti di uomini e donne.

Il balcone non si apre, e non perché sia rotta la maniglia, non perché si siano incrostati gli infissi; non si apre, perché le sue mani senza forza non riescono ad afferrare null’altro che aria.

Aria stantia. Aria di morte.

Aria morta.

La suola aderisce malamente al suolo, finalmente ferma, inclinata verso l’interno del corpo, dove la pressione del cammino è stata maggiore.

Non si sente più il fruscio del passo. Silenzio.

L’uomo ha visto dov’è finito l’altro piede.

Il colore nero brillante della scarpa risalta tra le camice bianche del cassetto semiaperto. Cioè, semiaperto lo è adesso, un attimo prima era un cassetto “tutto chiuso”.

Lui ne è certo, anzi, è più certo dell’ambiente in cui si muove, che della sua realtà, ma non fa caso a questi particolari, quando il problema principale è capire se è morto, e, se proprio è morto, come fa ad andarsene in giro da ore, pur confinato nella stanza da letto dell’architetto Massimo Restauro.

Anche questa certezza è in effetti un mistero. Non ricorda di avere mai parlato con l’architetto Restauro, ma sa bene che esiste – se è vivo è da vedere – e che questa è la sua stanza da letto.

Perché lo sa?

Per la prima volta, l’uomo solleva le mani all’altezza del viso, un gesto che lo rincuora, in quanto gli permette di scoprire che, a differenza dei piedi, almeno queste sono ancora due.

Due lunghe mani, sottili e integre. Di un rosa troppo acceso, però, quasi rossastro, il che avvalorerebbe l’ipotesi di morte, certo, perché …

***

- Voglio portarmela a casa.

- Ma, architetto, togliere tutta questa tappezzeria ci costerà molto tempo e a lei denaro e poi …

- Poi? Non annaspi, signor Esumato. Non mi aspetto che sia il responsabile della cappella dei Restauro a esitare su certi argomenti.

- Architetto, questa tappezzeria è qui da decenni, vede, è consumata qui, e qui e, ah, ecco … la vede, no?

- Uh, la macchia verde, sì. Umidità.

- Umidità, dice lei? L’ha mai toccata, architetto? È in rilievo. È fredda.

- Uno schizzo di vomito in altorilievo? Ottimo, signor Esumato. Discutile la scelta dell’artista, certo …

- Eh, lei è un furbo, finge di non capire. Queste parete racchiudono secoli di cadaveri. Ossa marce, carne putrescente, liquidi … Liquidi che filtrano …

- Ora basta, signor Esumato! Vi pago bene per assecondare i miei desideri, non si permetta di insultare i miei antenati! Voglio che questa tappezzeria sia trasferita nelle migliori condizioni dalla cappella di famiglia alla mia stanza da letto! Ah, signor Esumato …

- Sì signore, dottore, architetto, sì.

- Al più presto.

- Sì.

- Con somma discrezione.

- Sì.

***

Ora l’uomo ricorda.

Le mani si infiltrano nel cassetto e afferrano il piede reciso sopra la caviglia, ma gli occhi non vedono la lacerazione irregolare appena sopra la caviglia, perché la mente è uscita dalla stanza.

Ne ha visti di cadaveri, ne ha visti giacere nella cappella di famiglia dell’architetto; duchesse e marchesi e conti Restauro.

Visi immobili e mani giunte a preghiera sul petto. Mani come le sue, rossastre di mortale livore.

Corpi senza più libertà, indifesi nel banchetto della morte. Vittime dell’umidità e delle muffe.

Tutti nella stessa posizione, scolpita dai vivi dopo la morte. Figure immobili, tanto nella bara, quanto nei loculi. Così simili ai disegni sulla tappezzeria.

Lo sguardo dell’uomo ritorna al piede tra le mani.

È come l’altro, scarpa nera classica, calzino bianco appena accennato prima dello strappo. Scommette che lo strappo sarebbe in perfetta simbiosi con il moncherino della gamba, ma non verifica nemmeno, tanto non saprebbe come unirlo al resto del corpo.

E poi sa già che può camminare anche con un piede solo, strisciando tra le pareti della stanza da letto dell’architetto. La stanza dove è stata sistemata la tappezzeria della cappella, in un’apparente ventata di necrofora nostalgia del professore Massimo Restauro. Il più benestante professionista dell’Arte di tutta la Regione. Dell’Arte e del Narcotraffico.

L’uomo lo sa, sì, lo sa perché …

***

- Sei nella merda, architetto.

- La prego, la prego, questo è il luogo dove riposano i miei antenati, dove è seppellito mio padre, dove …

- Dove è sicuro nascondere la merce.

- Ma …

- Un altro ma e facciamo in modo che il travestito parli. Così tutti conosceranno i gusti dello stimato architetto Restauro.

- Non c’è nulla da ridere, io …

- Io rido come quando e dove cazzo mi pare, architetto! Hai promesso di agevolare i nostri canali, se ti avessimo portato voti nella giunta regionale.

- Ma proprio la mia cripta …

- Proprio. I cadaveri sono custodi fidati e i vivi hanno timore di violarli. Devi solo fare una cosa, togliere questa cagata di tappezzeria ammuffita.

- Questa … No, aspettate, aspettate, sono raffigurati i miei antenati, anche mio padre …

- Libera i loculi, togli la tappezzeria per agevolarci l’accesso ai nascondigli.

- E’ un oltraggio, onorevole, la prego.

- I suoi piagnucolii mi importano quanto della sua reputazione. Compreso, architetto? Aspettiamo buone nuove tra … ecco, tra una settimana esatta.

- Tutta la tappezzeria … E dove la metto, dove la …

- La regali al suo amante, il travestito.

***

L’uomo ha assistito anche a questa scena.

Immobile, silenzioso. Come il cadavere che ha rappresentato.

Si lascia andare sul letto, svuotato in un respiro che può solo immaginare di avere avuto.

Getta il piede amputato in un punto a caso della stanza e con la coda dell’occhio lo vede planare verso le braci del camino.

Allora ha l’idea.

Gli incompetenti che hanno strappato la tappezzeria proprio all’altezza del suo piede, gli hanno infine fatto un favore.

Il tessuto di cui è fatto può ancora prendere fuoco.

L’uomo si solleva.

La suola striscia verso il camino.

Il barone Cesare Restauro era un uomo alto e ha dato disposizioni di essere rappresentato sulla tappezzeria della cripta a misura quasi naturale.

Suo figlio Massimo, burino di un’aristocrazia sfaldata, ha almeno mantenuto la promessa.

L’uomo ora ricorda di essere una figura disegnata sulla tappezzeria infiammabile e sa che è abbastanza lungo da fare da ponte tra il camino acceso e le lenzuola del letto.

Non sa come è uscito nel mondo tridimensionale, ma scoprirlo non gli importa più.

Gli interessa solo di essere stato creato a immagine di un uomo che in vita era stimato per i saldi principi morali, timoroso della Legge di Dio, rispettoso di quelle degli uomini.

I bagliori delle fiamme si arrampicano sulla parete, sopra il camino, lungo la tappezzeria.

Lui li segue fino al disegno della casa. Se rappresenta l’abitazione in cui si trova, se anche il resto è in legno come la stanza da letto, forse l’incendio sarà sufficiente per bruciare tutto.

Il fuoco purifica sempre.

La suola si alza appena e si appoggia sul parquet, un passo dopo l’altro, verso il camino.

Un ritmo lento

su e giù e stop


avanti e stop e avanti

È come un respiro sottile, questo passo, pensa. Un respiro vivo.






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