C’è una lunga fila di pali bianchi sul molo.
I pescatori dicono che si scorgono a miglia di distanza, ma è solo per dare importanza alla spiaggia di Sotto Sotto, che in realtà è un piccolo singhiozzo di sassi prima del mare. Durante il giorno, esiste e non esiste, secondo i capricci della marea. Un faro non c’è mai stato, nonostante le petizioni dell’onorevole Cesare Restauro, che il Signore l’abbia in gloria, uomo tutto di un pezzo, e poi grazie ai silenzi dell’onorevole suo figlio, Massimo Restuaro, che il Signore gli insegni almeno a rispettare le cripte cimiteriali, invece di violarle strappandone le tappezzerie.
Massimo Restauro è un palo tra i pali.
Lungo e immobile sul molo, avvolto in un cappotto bianco, sembra scrutare l’orizzonte, dove gongolano figure piccole e scure di imbarcazioni da pesca.
Sa che la gente mormora a causa di questo strano trasloco e, in effetti, visto dall’esterno, spostare la pregiata tappezzeria di famiglia dalla cripta cimiteriale alla stanza da letto, deve essere sembrato ai più quantomeno un gesto macabro.
“Me li riporto tutti a casa. Ho voglio di addormentarmi con i miei nonni e i miei genitori”, aveva balbettato alla vicina di casa, signora Maria Vegliata in Orecchio, vedova del Cavaliere Lorenzo Orecchio, suo compagno di banco durante il liceo.
Lei aveva socchiuso ancora di più gli occhi e serrato le labbra, prima di rientrare a passi decisi nella propria villetta.
La famiglia Orecchio e quella dei Restauro si detestavano da generazioni, da quando i rispettivi bisnonni paterni, finita la Grande Guerra, si erano visti assegnare, quale premio al valore militare, lo stesso lotto di terra. Non era certo il primo caso, né sarebbe stato l’ultimo. Nel 1919 il Governo italiano zoppicava e aveva la pancia vuota, per cui, con qualche disinvoltura, aveva demandato al buon senso dei patrioti la ulteriore suddivisione di lotti di terra dati in comune, giusto per risparmiare. E dove non bastava il buon senso, allora arrivava la Legge per dirimere in modo deciso le discordie e sequestrare il terreno, che così tornava allo Stato.
L’Italia avanzava verso nubi nere e, nel loro piccolo, neri erano anche i rapporti tra gli Orecchio e i Restauro, costretti a dividere il piccolo lotto.
Compagni di liceo, camerati nella stessa trincea, vicini di casa. Il cane e il gatto hanno più possibilità di stimarsi. Basti sapere che per Italo Restauro, Ottone Orecchio era un bigotto, figlio del Papato, pronto a anteporre agli interessi della Chiesa quelli della Patria; per Ottone Orecchio Italo Restauro era un socialista ipocrita, pronto a rivendicare la proprietà comune, per poi scannare chiunque osasse rivendicare il diritto su un pezzo di terra.
Le generazioni crebbero così, costrette al vicinato sul lotto di terra, con due villette che gareggiavano in bell’apparenza, mentre i saluti dei proprietari rimanevano gelidi e poveri.
Probabile dunque che la vedova Vegliata in Orecchio avesse interpretato il trasferimento della preziosa tappezzeria dalla cripta dei Restauro alla villa dell’architetto, come un gesto di sfida. Un tentativo estremo di ulteriore abbellimento a discapito di quella del vicino.
- Eh – mormora l’architetto Massimo Restauro al mare, le mani che affondano nelle tasche del cappotto – Se solo sapesse …
splash, lo sbeffeggia un’onda, più vicina delle altre.
Restauro è lesto e tirarsi indietro. La marea sta avanzando e tra pochi minuti la spiaggia di Sotto Sotto sarà sommersa almeno quanto la serenità dell’uomo.
Mentre torna lento verso l’auto, l’architetto pensa che l’unico modo per liberarsi dal ricatto di don Dino Manipulite, l’unico modo per uscire dal giro di narcotici e prostituzione in cui è stato incastrato, sarebbe pagare una bella somma. Ottantamila, no, che cavolo, centomila euro, subito.
Si blocca a metà strada tra la spiaggia in agonia e il parcheggio delle auto circondato da salici, che nella penombra del tramonto sembra un antro nero.
Tanti saluti e dimentichiamo tutto, caro don Dino, dimentichiamoci soprattutto delle mie notti con Alessia, quel corrotto hijo de puta. E ‘fanculo anche a me, con la mia reputazione, farmi scoprire a letto con Alessia, il travestito brasiliano della vallata noto anche ai poppanti.
L’architetto si morde un labbro, mentre le mani si serrano a pugno nel segreto delle tasche.
E dove trovarli centomila euro?
Ci vorrebbe un colpo di fortuna, come ...
un sorriso amaro increspa il viso dell’uomo.
… come confidare nell’Assicurazione su cataclismi e incendi della sua villa.
Anche se storpio, deviato verso un lato, il sorriso si allarga.
Un incendio che distrugga la sua casa in legno sarebbe l’ideale, accidenti, e non solo perché gli fornirebbe proprio la cifra di cui ha bisogno, ma perché probabilmente si estenderebbe anche alla villa degli Orecchio. E lo liberebbe infine di quell’odiosa tappezzeria in cui sono raffigurati i suoi avi.
Massimo Restauro ha un sospiro lungo come le onde che stanno avvinghiando la spiaggia e ricomincia a incamminarsi verso le ombre del parcheggio.
L’idea è bella, ma non avrebbe mai e poi mai il coraggio di spingersi a tanto. Anzi, gli sembra quasi di sentire la riprovazione di suo padre, che il Signore se lo fotta ab aeternum per quanto è stato onesto in vita e severo nell’inculcargli sani principi morali. Già, se suo padre, lo stimato Cesare Restauro, avesse solo intuito questi pensieri, sarebbero state cinghiate e digiuno per una settimana.
Niente incendio per la villa. Niente soldi per spezzare il ricatto di don Dino.
Massimo Restauro è una figura cupa quando raggiunge la propria berlina, così china sui pensieri da non scorgere il fumo che si innalza da un punto preciso della collina, davanti a lui.
Il punto dove sorge la sua villa.
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