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Visualizzazione dei post da settembre, 2009

la pentola

Italo osserva la pentola in alluminio, una pentola così lucida, che vorrebbe distruggerla, disintegrarla. Almeno la smetterebbe di guardarlo di rimando con il riflesso dei suoi occhi. Italo le vede, le sue pupille agitate. Sono un ping pong nero e muto. Nient’altro. Rotolano sulle pennellate distorte di grigio della pentola e non hanno tregua. Ha solo pochi istanti di coscienza, Italo, e li sta gettando nella pentola. Solo nella stanza, non ha nemmeno una sedia dove afflosciarsi, perché tutto il mobilio è sparito nel vortice degli ultimi minuti. Priama il letto, no, prima la scrivania, oppure, aspetta … Italo fissa la pentola. Chissà perchèccavolo è rimasto solo questo tegame inutile. Schifosamente pulito. Mentre il resto del mondo è svanito, la pentola è ancora qui. Adagiata sul pavimento a riproporgli la sua immagine distorta, lui che nemmeno vorrebbe rivedersi, che è solo in attesa di raggiungere il resto della stanza. Forse la convessità della pentola non fa altro che rifle

precisazione precisa

Mi suggeriscono che, a scanso di equivoci vari ed eventuali, è auspicabile una mia dichiarazione e, pertanto, dichiaro, sotto la mia responsabilità, che, salvo diverse indicazioni, la prosa e i versi pubblicati in questo blog sono ideati da Giovanni Sicuranza e di proprietà del medesimo Giovanni Sicuranza . Come sono andato?

almeno una volta

almeno una volta – racconto di Giovanni Sicuranza Nella mia vita, vorrei morire almeno una volta. Ho sentito dire che alcuni ci riescono. Dimenticati, magari ritrovati, ma solo dopo secoli e solo con volti nuovi. Insomma, la vecchia storia finita, lasciata alle spalle senza rimpianti. E senza ricordi. Invece no, sono sempre qui, anno dopo anno. Nemmeno una variazione. Le membra ingiallite, le frasi che hanno perso il nero vigore di un tempo. Vado alla grande, no? Credo sia tutta colpa del fatto che, forse, nemmeno sono mai nato, perché ho sentito dire che chi non nasce non può morire. Non so, faccio le scuole elementari, mica sono istruito, io. Di libri, figuriamoci se mi interessa leggerne altri. Finito il mio turno, mi chiudo in un luogo buio. E aspetto, estraneo al tempo che passa per tutti. Sempre così la mia vita, senza affetti, senza emotività. Sono un tipo che non si concede più sentimentalismi, io, e in questo, almeno, vengo ricambiato. Passo di mano in man

i suoi occhi

Li trovo profondi, i suoi occhi. Così profondi che a volte, quando mi avvicino, mi devo appoggiare alla balaustra per vincere le vertigini. Lei mi osserva, silenziosa, perché ogni cosa da dire è già presente nel libro immenso di suoi occhi neri. Credetemi, ogni volta dentro loro c’è una frase per me. Ogni volta il suo sguardo ha una promessa che mi avvolge il corpo e mi fa sussultare di piacere. Gli altri dicono che è solo una femmina stupida, ma questo non conta. Sono miei compagni di vita, è vero, però non hanno mai brillato in fatto di femmine. Prendete Osvaldo, quello con le mani rattrappite da anni di gelo in mezzo alle montagne, che a stento regge ancora una bottiglia di vino. Scommetto che anche la sua testa è un blocco di ghiaccio, una calotta polare sotto la neve dei capelli bianchi. Lui dice che la mia femmina è buona solo a figliare e a nutrire. Non sa che non l’ho ucciso solo perché lei non vuole. Forse non ha gustato la carne di Aldo, il mio vicino. Aveva alzato le mani su

?

- Dove vuoi che vada … la domanda perde subito energia, il punto interrogativo che cade a terra, tra i piedi di Giulio e Romina. Lei abbassa gli occhi e lo vede. È come un serpente nero, la testa mozzata, puntiforme, appena staccata dal corpo. - Raccoglilo – sibila – Sai che non li sopporto. - Uh? – echeggia lui, le rughe della fronte che si innalzano perplesse. - I tuoi punti interrogativi. Li perdi sempre – Romina sbuffa – Mai una volta che riesci a decidere qualcosa. Sei una nullità piena di domande! Giulio si morde un labbro, poi si rende conto che non è quello il modo di accontentare Romina. In realtà è da mesi che non riesce ad accontentare Romina. Torna a casa usurato da un lavoro di topo impiegatizio e lei è il gatto che inarca la schiena alla sua pigrizia. Cerca di rilassarsi con i fumetti, la sua passione, e lei diventa la gomma che cancella il relax con la pretesa di uscire, subito, di fare un giro, muoviti, tanto-non-mi-porti-mai-da-nessuna-parte. Allor

ancora

Tutte le volte che la guardava, lei era altrove. Gli occhi altrove. Belli, spalancati di verde. Ma altrove. Allora lui ricominciava a smarrirsi, lungo l’indifferenza delle pareti rugose della stanza. Rilassa il viso, scuoti le spalle, si esortava, anche se i denti si stringevano forte, uno sull’altro, anche se la schiena diventava cemento. Resisteva un paio di secondi. Poi si voltava ancora, in uno spasmo di angoscia, a cercare un cenno da lei. Tutto intorno, davanti, ai lati, solo oscurità. Lei c’era. Ma assente, altrove. Le braccia sul seno, chiuse al desiderio di lui. I peli arricciati del pube, radici nere che affondavano nei segreti della femminilità, ma che nulla svelavano. Andò avanti così, per un tempo sconosciuto, fino a quando l’alba gettò un raggio di coscienza sull’uomo. Passo dopo passo, silenzioso, lui andò alla porta. Il pensiero, improvviso, lo abbracciò, freddo, e lo fece ciondolare sull’uscio. Come tutte le altre, anche lei è morta. E quando vide che il sangue della d

Predazione

Ogni passo che muove è silenzio notturno. Valentina lo sente, lo assapora questo silenzio del corpo. È battito cardiaco che le scorre dentro e scivola fino ai piedi, amplificato dai tacchi degli stivali. Valentina ascolta, si ferma. Guarda. Il vicolo è un imbuto, compresso dalle pareti del cimitero da un lato, da quelle della chiesa dall’altro. Pareti pallide sotto la luna, rugose. Pareti che invitano al silenzio. Valentina sorride. Inspira a fondo la brezza, ne accarezza ogni colore notturno, poi solleva un tacco e cala il piede a terra. tac, è il suo cuore sull’asfalto tac, risponde l’altro tacco Valentina accelera. tac tac tac Corre, corre veloce e il sorriso diventa sempre più ampio, come se le lebbra fossero tirate indietro dal vento, fino a diventare ghigno. Il muro del cimitero è robusto, ma c’è lato fragile, dove l’ha colpito un camion, due giorni fa. Dal crollo e da quello che è rimasto della cabina del camion, l’energia cinetica che ne è scaturita deve essere stata spettacola